Il fenotipo dell’arte di Tiberio Gracco è connotato da una conformazione cranica che dice e conferma un ‘primitivismo’ in atto futuribile, vale a dire di svolta epocale, per cui l’homo novus è siglato da una sempre più vasta capacità di pensiero, mentre incalza il mistero e la monade vive in sé i moti intensi di più vaste fratture e discontinuità.
I suoi personaggi vivono infatti momenti di estrema luminosità e di inquietudine tra inconsapevolezza di un divenire che comporta consumi e affidamenti: la ragione nel suo più vasto giro avverte la puntualità di eventi che coinvolgono le dimensioni umane a livello universo.
Non a caso le concrete solitudini vivono a occhi chiusi la memoria e il presagio, mentre si svolge, frenetico o lentissimo, il destino biologico condizionato in basso dalla nevrastenia e dalle amare certezze, liberato, in alto da una profonda contemplazione che è chiarezza di speranza.
Le ferite della vita per così dire inducono nella facile tentazione delle conclusioni provvisorie di gabbie costanti, di certezze amare e la messa a nudo di variate identificazioni, sospese tra delirio interiore e desiderioinappagato serve all’arte non per proporre il fascino e lo specchio delle negatività e dell’autolesionismo, bensì per uno stimolo ad andare oltre.
E’ sorda l’ostilità delle cose; altra è la dimensione della crescita oltre il gioco subdolo della dissipazione che induce all’alienazione.
Intanto lo scorrere lento delle immagini che avvertono e vanno ad occhi chiusi nei limiti del ‘loro’ condizionamento, stimola alla percezione, alla formulazione di un’umanità che finalizzata oltre la sua storia, oltre gli atavici bisogni naturali e sociali.
Intanto Tiberio Gracco coglie nel divenire la condizione di “primordialità” perché a ciascun tempo corrisponde una crescita adeguata a fronteggiare un mistero sempre più vasto: il primitivismo del terzo millennio è testimonianza di più inclementi incertezze nelle conquiste delle più avanzate conquiste scientifiche e tecnologiche.
La difficoltà di vivere in sintonia con l’universale armonia, che non può essere negata nella conquista degli elementinaturali organici e funzionali alla vita, rende gli uomini ostili, feroci, burattinai, esperti di mercificazioni, di mutilazioni, incapaci di liberarsi perfino dai piccoli nodi che diventano veri e propri cappi d’impiccagione.
Intanto il tempo è identificabile oltre i sensi, oltre il mistero che ri-trova ciascuno di fronte al proprio crollo o molto più raramente di fronte alla propria elevazione.
Tiberio Gracco sa che “l’uomo di pena” può testimoniare la nuda condizione umana e il rapporto d’amore oltre i condizionamenti delle ricorrenti illusioni.
Intanto sono proprio queste a tenere il gioco e il rischio dei confini del nulla dissolve l’uomo-universo tra continue riduzioni in cui il senso radicale miseria e isolamento svela il deserto proprio dove all’intelligenza si accende la speranza: è forse dell’uomo, sua sola ricchezza, la possibilità-necessità di ritrovarsi?
Angelo Calabrese